Comunicazione e counseling: partiamo dalle (mie) origini
Al liceo adoravo studiare filosofia.
Mi affascinavano molto questi pensatori che si interrogavano sul senso dell’esistenza e della natura, esplorando i confini e le potenzialità della conoscenza umana.
Dai dialoghi di Socrate alle teorie di Platone, lo studio della filosofia mi permetteva di capire più a fondo il mondo, noi stessi, gli altri, le nostre azioni, il modo in cui costruiamo le nostre idee e i valori che orientano la nostra vita.
Mi ricordo che l’ho scelta come materia all’esame di maturità, anche se non ero molto sicura di aver compreso pienamente quelle pagine così dense di significato, ancora troppo dense per la mia giovane età.
Così ho preferito laurearmi in Scienze della Comunicazione, un percorso di studi che mi sembrava ricco di argomenti interessanti e che, come la filosofia, spiegava come funzioniamo, ma in relazione con gli altri.
Grazie a Watzlawick ho scoperto che non si può non comunicare, e che ogni messaggio ha un aspetto di contenuto e uno di relazione.
Da allora, ammetto che la mia attenzione si è spostata sulla seconda.
Penso che qualsiasi contenuto, anche di spessore, non possa essere trasmesso se non si presta attenzione alla relazione.
Se non guardiamo negli occhi le persone a cui stiamo facendo una presentazione, se non ci preoccupiamo di coinvolgere i nostri studenti mentre spieghiamo qualsiasi materia, se siamo dei medici competenti ma non ci interessa davvero il paziente che abbiamo davanti, il nostro messaggio non verrà recepito pienamente.
La competenza deve essere accompagnata dal calore, come descrive Amy Cuddy con la sua matrice.
La comunicazione ha il potere di avvicinare e di allontanare, di creare e di distruggere, di alimentare e di spegnere. Anche il silenzio ha lo stesso potere.
Ogni giorno, con le nostre parole, i nostri gesti, i nostri sorrisi e i nostri silenzi, abbiamo il potere di modificare e contagiare la realtà che ci circonda.
Abbiamo soprattutto il potere di migliorare o peggiorare le nostre relazioni, da quelle personali a quelle con i colleghi e con i clienti.
Ed è proprio la passione per la comunicazione che mi ha portato ad avvicinarmi al counseling.
La comunicazione è infatti uno degli elementi fondamentali del counseling, poiché rappresenta lo strumento attraverso cui il counselor accompagna il cliente in un percorso di consapevolezza, comprensione e cambiamento.
Il counselor deve essere in grado di cogliere, attraverso l’empatia, non solo ciò che il cliente dice, ma anche ciò che comunica attraverso il linguaggio non verbale: tono di voce, espressioni facciali, postura e gestualità. Questi segnali possono rivelare emozioni o pensieri che il cliente non riesce a esprimere verbalmente.
Una comunicazione chiara, fornita attraverso lo strumento prezioso del feedback, aiuta la persona a mettere ordine nei propri pensieri e nelle proprie emozioni.
Il feedback è nutrimento, è attenzione, è dare importanza alla persona. E’ la conferma che è stata ascoltata. E’ cura della relazione, professionale e umana.
E grazie a questa cura il cliente può raggiungere l’autoconsapevolezza che favorirà il processo decisionale autonomo.
Il percorso di counseling diventa così un processo di grande autoconoscenza, proprio come quel “Conosci te stesso” che già al Liceo mi aveva colpito, che per Socrate significava prendere coscienza della propria fragilità ed imperfezione, della propria condizione di essere umano, che solo conoscendo sé stesso può trovare il proprio modo di essere felice.
Ed è sempre Socrate che considera la cura di sé, della propria anima, e la ricerca del bene come il compito più alto per l’essere umano.
Mi è venuta voglia di tornare a studiare filosofia!